Un lavoro, quello di Alessandra, più mentale che tecnico e fisico. «Qui non si tratta solo di insegnare i fondamentali- dice la docente- ma di entrare nella loro testa, di scardinare idee radicate, come quello che le cose non solo succedono, ma che si può farle succedere con le proprie azioni». L’obiettivo di Alessandra e del suo staff è a lungo termine. «Vorremmo porre delle basi - illustra l’allenatrice trentina che da domenica scorsa e fino al 16 giugno ha portato la Nazionale pakistana in Italia per una tournée - vorremmo convincere la Federazione a partire dalle scuole, a mandare lì dei tecnici formati per far iniziare prima le ragazze e far crescere così il movimento e la Nazionale che avrebbe un serbatoio più ampio da cui attingere». «Una scelta di questo tipo - aggiunge Alessandra - avrebbe anche un impatto sociale. Il fatto che le ragazze possano cominciare a pensarsi anche come sportive, porterebbe già a un piccolo cambiamento, con lo sport capace di essere un agente di trasformazione sociale». Quella in Pakistan non è l’unica esperienza all’estero per coach Campedelli. Tra il 2022 e il 2023 l’allenatrice azzurra ha guidato le Nazionali femminile U17, U19 e senior dell’Iran. «È stata un’altra sfida – spiega - in cui ho utilizzato lo sport per provare ad abbattere le barriere, in quel caso di genere». Due mondi apparentemente simili, ma con tante differenze. «Rispetto al Pakistan- spiega Alessandra - sotto il profilo sportivo l’Iran era un altro pianeta. Lo sport è praticato dalle donne fin dalla scuola e con il gruppo della Nazionale ci siamo tolti tante soddisfazioni, come l’argento agli Islamic Solidarity Games e molte di loro ancora mi ringraziano per il lavoro che abbiamo fatto insieme. Con una selezione iraniana in Italia avremmo giocato tranquillamente tra A2 e A1».
«Dal punto di vista extrasportivo - aggiunge l’allenatrice - in Iran l’atmosfera era molto più oppressiva e c’era una maggiore ingerenza della politica. Le ragazze erano controllate strettamente su molti aspetti e le convocazioni erano influenzate da fattori esterni, con giocatrici escluse perché ad esempio non portavano correttamente l’hijab o si truccavano ». Esperienze, come quelle in Asia o anche come quelle da tecnico di settore giovanile o della Nazionale femminile sordi, che hanno lasciato un segno nell’allenatrice. «Non saprei dire quale sia stata la mia preferita- spiega – ma è stato un percorso, in cui come mi è capitato spesso nei momenti di difficoltà, ho deciso di uscire dalla mia comfort zone per cercare nuovi stimoli». «Di certo – conclude Alessandra Campedelli- ogni esperienza mi ha insegnato qualcosa. Ad esempio la consapevolezza che prima di giudicare bisogna conoscere, la capacità di leggere le persone e di ascoltare ma anche l’importanza di capire quanto, quando e come bisogna parlare alle persone». Tutte capacità che l’allenatrice sta mettendo in campo in Pakistan. Nel segno dei diritti.
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