Capitan Pippo Ricci: «Un canestro per far felici gli altri»

 

Milano in una soleggiata mattina d’autunno, il freddo è pungente, ma scalda il cuore parlare con Giampaolo Ricci, detto Pippo, il capitano dell’EA7 Emporio Armani Olimpia, la società di basket del capoluogo lombardo, la squadra più titolata d’Italia. Sorridente e alla mano, lo si riconosce lontano un miglio anche per il fisico imponente (di 202 centimetri). Pronto a raccontarti di sé così come farebbe un amico davanti a un caffè. Con la stessa schiettezza con cui ha ripercorso la sua storia nella profonda autobiografia: Volevo essere Robin. Il mio viaggio fino a qui (De Agostini, pagine 240, euro 17,90). Un cammino con tanta gavetta per il ragazzino che da Chieti era arrivato a Roma per crescere nella fucina di talenti della Stella Azzurra. Pochi avrebbero scommesso su di lui, eppure proprio dalla capitale (dove peraltro è nato il 27 settembre 1991) è partita la sua scalata umile e paziente attraverso tutte le serie minori. Da Casalpusterlengo a Verona, da Tortona a Cremona, prima di approdare nelle corazzate Virtus Bologna e Olimpia Milano. Un punto fermo della Nazionale che non ha mai mollato anche negli studi e oggi può vantare persino una laurea in matematica. Succede a chi ha sempre creduto che si possa andare oltre il perimetro di un campo da basket, addirittura fino all’Africa dove Ricci è impegnato con la sua fondazione Amani Education ODV in favore dei ragazzi della Tanzania.
Chi legge il suo libro sarà sorpreso nell’apprendere che da adolescente è stato vittima di episodi di bullismo al punto che la sofferenza per il suo sovrappeso e il crollo dell’autostima l’hanno portata sull’orlo dei disturbi alimentari… 
«All’inizio avevo il dubbio se raccontare tutto. Ma poi ho deciso di mettermi a nudo come non avevo mai fatto. Ci sono episodi che neanche mia madre sapeva e anche lei dopo aver letto il libro mi ha abbracciato. Ora pure il tifoso sa che nel mio percorso ci sono stati anche fallimenti e debolezze che io per orgoglio avevo sempre nascosto. Il libro mi ha aiutato a guardarmi allo specchio, a psicanalizzarmi».
Voleva essere Robin da piccolo ma oggi è diventato Batman. Si sente un modello per i più giovani?
«Ci provo. Soprattutto con i compagni di squadra più giovani, esortandoli a non abbattersi mai e a entrare in palestra sempre col sorriso. È quello che cerco di trasmettere anche ai ragazzi quando vado a parlare nelle scuole: essere positivi e non arrendersi mai anche nei momenti più difficili».
Nella sua carriera finora ce ne sono stati tanti?
«Sì, pazzesco è stato vincere il mio primo scudetto da capitano con la Virtus Bologna e solo pochi giorni dopo essere stato costretto ad andar via: una delusione enorme. Ma come mi è stato insegnato dai miei genitori: “in ogni difficoltà trova un’opportunità”. E Milano poi mi ha cambiato la carriera dandomi la possibilità di confermarmi ad alti livelli e diventare capitano di una società in cui tutti sognano di giocare».
L’Olimpia che in panchina ha appena vissuto un passaggio “epocale” da Messina a Poeta.
«Quando cambia l’allenatore ogni giocatore deve farsi un esame di coscienza, è stata anche un po’ colpa nostra. Con Messina ho vissuto cinque anni splendidi è stato lui a volermi e a farmi capitano, gli sarò sempre grato. Poeta è una persona di un entusiasmo incredibile e di una purezza rara».
Alla Nba ci ha mai pensato?
«No perché conosco i miei limiti, non è il mio posto per fisico e caratteristiche. Sono arrivato a Milano a 30 anni e in Serie A a 27: non ho difficoltà ad ammettere che se fossi arrivato prima non sarei stato pronto. L’Eurolega che da piccolo era il mio sogno lontanissimo è oggi la mia Nba. E poi voglio i Mondiali con l’Italia e soprattutto le Olimpiadi di Los Angeles 2028».
Il basket le ha dato tanto, ma l’ha fatta anche soffrire.
«La pallacanestro mi ha dato un bel lavoro, una bella vita. Però mi ha tolto anche tanto tempo con i miei familiari, sia nei momenti belli come diventare zio che in quelli brutti come la malattia di mia madre o la morte del nonno. Ne è valsa la pena? Sì se penso che far felice un bambino anche solo per un autografo o servirsi del basket per avere un impatto su persone anche a 6 mila chilometri di distanza ripaga di tutti i sacrifici».
Si riferisce alla sua fondazione, l’Amani Education ODV che opera in Tanzania?
«È un progetto che mi vede impegnato con tutta la mia famiglia e in cui sto investendo tutte le mie energie. Mio padre e mia madre ci andarono anni fa come medici volontari e mio fratello è nato lì, il primo bambino bianco in quella zona. Dal 2022 abbiamo tirato su una scuola secondaria con più di 100 ragazzi che l’anno prossimo diventeranno 200. L’obiettivo è arrivare a 500 e chissà aprire un’altra scuola. Non vogliamo porci limiti ma solo dare un futuro a questi ragazzi per evitare che finiscano in strada».
A lei invece cos’ha dato la matematica?
«Mi è sempre piaciuta, mi bastava stare attento per capirla. Mi ha sempre insegnato a guardare tutto in prospettiva. Come in campo non puoi stare attento solo al tuo uomo e alla tua zona per capire quello che sta succedendo, così nella quotidianità serve a volte allargare lo sguardo e se è il caso fermarti a riflettere».
Ma chi è stato Batman nella sua vita?
«Mio fratello. Fino a 15 anni abbiamo vissuto in simbiosi, e tuttora manteniamo un legame fortissimo nonostante la lontananza. E così con mia sorella giocatrice di pallavolo (in Serie A1 con Perugia). Io mi sento molto fortunato perché la mia è una famiglia stupenda. Mio fratello mi ha fatto capire anche la bellezza della paternità: credo sia arrivato anche per me il momento di creare una famiglia. Ci stiamo pensando con Silvia, la mia fidanzata…».
Lei è cresciuto, scrive, in una famiglia cattolica praticante.
«Sì sono credente anche io. E se non riesco la domenica, mi piace entrare e sostare in una chiesa vicino casa. Mi ha sempre colpito la parabola dei talenti: non dobbiamo sotterrarli ma farli fruttare. I miei genitori mi hanno educato a tendere la mano agli altri, soprattutto a chi è in difficoltà. “Chi più ha, più deve dare”. Se poi “da grandi mani derivano grandi responsabilità” come dice mamma, a maggior ragione le mie sono giganti».

Avvenire

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