"Sono stato il mediano del basket", oggi l'addio di Alessandro Frosini. "Ho avuto l'immensa fortuna di giorcare in squadre fortissime, ma Reggio era nel mio destino"
Reggio Emilia, 14 settembre 2011 - Frosini, siamo davvero all’epilogo della sua carriera sul parquet?
“Sì, una vita da mediano del basket. Ho avuto l’immensa fortuna di giocare con squadre fortissime e la capacità di rendermi utile. Ma non mi sono mai sentito un uomo da prima pagina sui giornali”.
Per questo ha optato per un evento, tutto sommato, sobrio?
“Si addice al mio carattere. Ci saranno mia moglie e i miei figli, verrà mia madre con mio fratello, e questo mi fa particolare piacere; sarà presente il mio primo allenatore, quello che mi ha insegnato i fondamentali, Marco Collini, col suo vice di allora, che adesso è il mio amico e agente: Pisani”.
Ci sarà qualcuno dei suoi ex compagni?
“Ho provato a contattare quelli con cui avevo stretto un rapporto umano molto forte: Ginobili, Rigaudeau e Sconochini. Purtroppo, per vari motivi, non potranno essere presenti”.
Ricorda quando ha preso in mano, la prima volta, la palla a spicchi?
“Avrò avuto otto anni. Feci quattro o cinque mesi di minibasket a Siena. Poi ci trasferimmo in campagna, però la passione mi era rimasta. Allora mio padre mi costruì un canestro artigianale. Per quattro o cinque anni mi sono esercitato lì”.
E dopo?
“Tornati a Siena cominciai la trafila nelle giovanili. All’epoca ero alto, ma sgraziato e senza tecnica. Però ci ho dato sotto, e se all’inizio tutti erano più bravi di me, col tempo le cose sono cambiate. A 17 anni ero in Nazionale Cadetti. Con Myers, Fucka, Bonora, e compagnia”
E prima dell’approdo in A, un bel ricordo legato a Siena. Vero?
“Sì, la promozione dalla B1 all’A2 nel 1990. Avevo come compagni una persona straordinaria come Pino Brumatti, che mi insegnò tantissimo e Diego Pastori. In panchina Dado Lombardi. Evidentemente Reggio era già nel mio destino”.
Quale è il ricordo più bello della sua carriera?
“La seconda Eurolega vinta con la Virtus, dopo una serie tiratissima con il Tau. Dopo mesi difficili causa la scomparsa di mio padre. Sono fiero di avergli potuto dedicare quella vittoria”.
Il momento più difficile?
“Il passaggio dalla Fortitudo alla Virtus. C’era chi mi dava del traditore, ma era stata la società a lasciarmi libero. Per fortuna entrai nelle grazie di Sasha Danilovic e questo, almeno, facilitò l’ambientamento”.
Quale è stato il miglior coach che l’ha allenata?
“Messina è quello che ha fatto emergere le mie migliori caratteristiche e mi ha portato a rendere al massimo. Poi devo molto a Marcelletti che, a Verona, di fatto, mi lanciò”.
Il più forte compagno di squadra? E l’avversario più difficile ?
“Difficile scegliere: penso che Danilovic e Ginobili siano in cima alla graduatoria. Ma come dimenticare la classe di Rigaudeau? Non ho difficoltà a dire quali sono stati gli avversari che mi hanno messo più in difficoltà: il duo del Tau, Oberto e Scola. Solidissimi, tecnicamente fortissimi, spigolosi”.
Frosini ha un rimpianto?
“Non avere partecipato alle Olimpiadi. Fu il frutto di una scelta sbagliata. Decisi di abbandonare gli azzurri per alcune incomprensioni con coach Tanjevic, con cui poi ho sempre avuto ottimi rapporti. Tornassi indietro agirei diversamente”.
Nella sua carriera ha mai avuto particolari scaramanzie?
“Dopo la vittoria nell’Eurolega del 2001 ho sempre portato sotto la casacca la canottiera nera che avevo quella sera”.
Se non avesse giocato a basket cosa avrebbe fatto?
“Il pastore. Avevo poca voglia di studiare, da ragazzo. Mio padre allora un giorno mi disse: non vuoi studiare? Abbiamo tanta terra…, ti compri 200 pecore e fai l’allevatore”.
C’è qualche nuovo Frosini, all’orizzonte?
“C’è un problema di fondo. Mancano giocatori che abbiano voglia di essere umili e di sacrificarsi. Tecnicamente eccellenti, ma mentalmente fragili. E la mentalità nel basket è quasi tutto. Però c’è un ragazzo che può farcela. Lo dico sperando di non creargli troppa pressione, ma sento di potermi spendere: Riccardo Cervi ha la testa e i numeri per diventare un grande. Io lo aiuterò per quanto posso”.
Cosa direbbe a un ragazzino che prende in mano la palla a spicchi e sogna di diventare un campione?
“Prima di tutto, si diverta! Poi, crescendo, se si rende conto di avere potenzialità, sappia che dovrà fare scelte precise, tanti sacrifici, e molte rinunce. Tipo dire addio, o quasi, a molti divertimenti”.
“Sì, una vita da mediano del basket. Ho avuto l’immensa fortuna di giocare con squadre fortissime e la capacità di rendermi utile. Ma non mi sono mai sentito un uomo da prima pagina sui giornali”.
Per questo ha optato per un evento, tutto sommato, sobrio?
“Si addice al mio carattere. Ci saranno mia moglie e i miei figli, verrà mia madre con mio fratello, e questo mi fa particolare piacere; sarà presente il mio primo allenatore, quello che mi ha insegnato i fondamentali, Marco Collini, col suo vice di allora, che adesso è il mio amico e agente: Pisani”.
Ci sarà qualcuno dei suoi ex compagni?
“Ho provato a contattare quelli con cui avevo stretto un rapporto umano molto forte: Ginobili, Rigaudeau e Sconochini. Purtroppo, per vari motivi, non potranno essere presenti”.
Ricorda quando ha preso in mano, la prima volta, la palla a spicchi?
“Avrò avuto otto anni. Feci quattro o cinque mesi di minibasket a Siena. Poi ci trasferimmo in campagna, però la passione mi era rimasta. Allora mio padre mi costruì un canestro artigianale. Per quattro o cinque anni mi sono esercitato lì”.
E dopo?
“Tornati a Siena cominciai la trafila nelle giovanili. All’epoca ero alto, ma sgraziato e senza tecnica. Però ci ho dato sotto, e se all’inizio tutti erano più bravi di me, col tempo le cose sono cambiate. A 17 anni ero in Nazionale Cadetti. Con Myers, Fucka, Bonora, e compagnia”
E prima dell’approdo in A, un bel ricordo legato a Siena. Vero?
“Sì, la promozione dalla B1 all’A2 nel 1990. Avevo come compagni una persona straordinaria come Pino Brumatti, che mi insegnò tantissimo e Diego Pastori. In panchina Dado Lombardi. Evidentemente Reggio era già nel mio destino”.
Quale è il ricordo più bello della sua carriera?
“La seconda Eurolega vinta con la Virtus, dopo una serie tiratissima con il Tau. Dopo mesi difficili causa la scomparsa di mio padre. Sono fiero di avergli potuto dedicare quella vittoria”.
Il momento più difficile?
“Il passaggio dalla Fortitudo alla Virtus. C’era chi mi dava del traditore, ma era stata la società a lasciarmi libero. Per fortuna entrai nelle grazie di Sasha Danilovic e questo, almeno, facilitò l’ambientamento”.
Quale è stato il miglior coach che l’ha allenata?
“Messina è quello che ha fatto emergere le mie migliori caratteristiche e mi ha portato a rendere al massimo. Poi devo molto a Marcelletti che, a Verona, di fatto, mi lanciò”.
Il più forte compagno di squadra? E l’avversario più difficile ?
“Difficile scegliere: penso che Danilovic e Ginobili siano in cima alla graduatoria. Ma come dimenticare la classe di Rigaudeau? Non ho difficoltà a dire quali sono stati gli avversari che mi hanno messo più in difficoltà: il duo del Tau, Oberto e Scola. Solidissimi, tecnicamente fortissimi, spigolosi”.
Frosini ha un rimpianto?
“Non avere partecipato alle Olimpiadi. Fu il frutto di una scelta sbagliata. Decisi di abbandonare gli azzurri per alcune incomprensioni con coach Tanjevic, con cui poi ho sempre avuto ottimi rapporti. Tornassi indietro agirei diversamente”.
Nella sua carriera ha mai avuto particolari scaramanzie?
“Dopo la vittoria nell’Eurolega del 2001 ho sempre portato sotto la casacca la canottiera nera che avevo quella sera”.
Se non avesse giocato a basket cosa avrebbe fatto?
“Il pastore. Avevo poca voglia di studiare, da ragazzo. Mio padre allora un giorno mi disse: non vuoi studiare? Abbiamo tanta terra…, ti compri 200 pecore e fai l’allevatore”.
C’è qualche nuovo Frosini, all’orizzonte?
“C’è un problema di fondo. Mancano giocatori che abbiano voglia di essere umili e di sacrificarsi. Tecnicamente eccellenti, ma mentalmente fragili. E la mentalità nel basket è quasi tutto. Però c’è un ragazzo che può farcela. Lo dico sperando di non creargli troppa pressione, ma sento di potermi spendere: Riccardo Cervi ha la testa e i numeri per diventare un grande. Io lo aiuterò per quanto posso”.
Cosa direbbe a un ragazzino che prende in mano la palla a spicchi e sogna di diventare un campione?
“Prima di tutto, si diverta! Poi, crescendo, se si rende conto di avere potenzialità, sappia che dovrà fare scelte precise, tanti sacrifici, e molte rinunce. Tipo dire addio, o quasi, a molti divertimenti”.
Gabriele Gallo - ilrestodelcarlino.it
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