Per battere Vigevano domani e volare in semifinale, la Trenkwalder chiede aiuto ai suoi leader

- Il Resto del Carlino -

18/05/2010 08:54 - Gabriele Gallo
E ADESSO? E adesso che il grande cuore biancorosso ha prodotto lo sforzo più grande frenando le velleità di Vigevano e costringendola a gara 5? Adesso la partita è davvero tutta da giocare, perché, come più volte accaduto nel corso della stagione, la Trenkwalder ha dimostrato di sopperire alle sue carenze fisiche e di organico con un’intensità veramente fuori dal comune. Si potrebbe pensare che, dopo aver espugnato il parquet pavese, l’inerzia della serie sia passata dalla parte dei biancorossi, ma non è così semplice: perché la Trenkwalder, in questa delicatissima fase del torneo, non può prescindere dalla presenza, e dal rendimento, dei suoi uomini faro.
PRIMO fra tutti Robert Fultz: la sua assenza in gara 1, causa i noti problemi agli occhi, ha permesso a Vigevano di maramaldeggiare su una Pallacanestro Reggiana che, di fatto, non era in grado di giocare a basket; con un regista, Ibarra, arrivato tre giorni prima, volenteroso ma inconsistente e per giunta col naso rotto. Al rientro di Fultz, nella partita successiva, Bertolazzi, devastante nel primo confronto, è tornato sulla terra, e la Trenkwalder ha ripreso a giostrare sul parquet come una macchina ben oliata. Non a caso quando in gara 3, in terra lombarda, si è entrati nella fase decisiva, il play di scuola fortitudina era in comprensibile debito di ossigeno e la Miro Radici, più lucida, ha portato a casa la contesa. Nel match di domenica invece, l’ex pesarese è arrivato in condizioni ideali a giocare gli ultimi minuti, e ad aggiudicarsi la posta è stata Reggio.
TUTTAVIA, da solo, Fultz non può bastare. C’è bisogno pure di un Hite perlomeno discreto. Anche qui basta guardare ai nudi fatti: in gara-1 l’americano non è stato messo in condizione di esprimersi al meglio, nella terza partita, bersagliato dall’aggressiva difesa gialloblu, è sparito nel finale. Negli altri due match ha offerto sprazzi di classe sopraffina quando serviva, e guarda un po’: è stata la Trenkwalder a spuntarla. Dopodichè…, dopodichè ci si affida all’intramontabile Alessandro Frosini. Qui il discorso abbandona la tecnica per passare alla favola. 37 anni, veterano di mille battaglie, sta dando lezione di grinta, intensità e lucidità al pariruolo, e ben più giovane, Smith (che, per inciso, deve sbrigarsi a capire che nei play-off volano sberle e non carezze, e quindi iniziare a darle, sempre nei limiti del regolamento, magari non innervosendosi con gli arbitri). Come ama dire, con grande affetto, Ramagli:”Frosini è morto, ma non lo sa”. Per il bene della squadra del patron Stefano Landi deve continuare a non saperlo. Poi ci sono gli outsider: negli incontri vinti un buon contributo l’hanno dato un redivivo Pugi (protagonista di azioni “ignoranti”, ma decisive in gara 2 e 4 anche se ora ai box per una distorsione ad una caviglia ed in forte dubbio per la gara di domani sera) e, nell’ultima contesa, finalmente, Giorgio Boscagin. Si attendono conferme.
SUL FRONTE ospite, nel corso delle varie sfide, uomini diversi si sono rivelati decisivi (Ghersetti e Ganeto nella prima partita, Banti con Boyette in gara-3 ma con una precisa costante: Matteo Bertolazzi.
Il play titolare di coach Garelli è stato continua spina nel fianco per la Trenkwalder. Strepitoso, ma senza avversari, in gara 1, duro nella seconda partita, infido e vincente nella terza contesa, anche domenica ha provato, nel finale, a trascinare la squadra. Limitare la sua verve e costringerlo all’errore potrebbe essere, per la formazione reggiana, la mossa tattica decisiva.

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