Trenkwalder, Frassinetti prova a spiegare i black-out finali: «Non ho la soluzione ma so che non è paura di vincere»
- Il Resto del Carlino -
15/11/2010 11:54 - Gabriele Gallo. I CASI sono due, o i giocatori della Trenkwalder si sono dimenticati che le partite di basket durano 40 minuti, oppure nei momenti in cui devono “uccidere” le partite invece che dall’istinto dei killer vengono presi dalla paura, quasi che sul parquet gli avversari avessero il volto di personaggi dei film horror. Matteo Frassineti, talento biancorosso in crescita, tende ad escludere che negli occhi suoi e dei compagni, nei finali, compaia il terrore. Ma non riesce a capacitarsi di quello che sta accadendo.
Frassineti, permetta l’ironia, ma lei e i suoi compagni, certi finali di partita li studiate a tavolino?
«Sembra che lo facciamo apposta, già. Ma non è così, ve lo assicuro. E una spiegazione non ce l’ho. A un certo punto, semplicemente, spegniamo la luce. Di sicuro so che non abbiamo paura di vincere; quello che ci vuole è portare a casa, il prima possibile, una partita con caratteristiche simili a quelle che finora abbiamo perso».
Troppe nello stesso modo, vero?
«Assolutamente. Partite così se ne perdono, al massimo, una o due all’anno, noi siamo a quota tre in sette partite, è ora di finirla».
In alcune occasioni, la luce si è spenta quando lei è stato sostituito. Nonostante si veda più ordine con lei in campo…
«Questo perché, come diceva un mio vecchio allenatore, con quattro grandi talenti sul parquet occorre un giocatore scarso, che non fa danni, per impedire che ne facciano gli altri (…ride, ndr). Scherzi a parte, non penso che le cose con me in campo sarebbero cambiate».
Non teme che, con Slanina in recupero e Smith più integrato nei meccanismi di squadra, il suo minutaggio calerà drasticamente?
«Stiamo parlando di signori giocatori, che aumentano parecchio il tasso tecnico della squadra. Per il mio futuro e la mia crescita è importante innanzitutto essere parte di un gruppo vincente, e Reggio ha tutto per esserlo. In quest’ottica se anche il mio tempo in campo cala un po’, per me non è un problema».
Quali le differenze ha notato con l’arrivo di Finelli, rispetto alle idee di Coen?
«L’obiettivo prioritario del nuovo coach è di darci pochi, ma chiari, dettami, farci diventare più squadra. Piero, persona di eccezionale valore, puntava molto su motivazione ed energia, in gruppo che è, comunque, difficile da allenare».
15/11/2010 11:54 - Gabriele Gallo. I CASI sono due, o i giocatori della Trenkwalder si sono dimenticati che le partite di basket durano 40 minuti, oppure nei momenti in cui devono “uccidere” le partite invece che dall’istinto dei killer vengono presi dalla paura, quasi che sul parquet gli avversari avessero il volto di personaggi dei film horror. Matteo Frassineti, talento biancorosso in crescita, tende ad escludere che negli occhi suoi e dei compagni, nei finali, compaia il terrore. Ma non riesce a capacitarsi di quello che sta accadendo.
Frassineti, permetta l’ironia, ma lei e i suoi compagni, certi finali di partita li studiate a tavolino?
«Sembra che lo facciamo apposta, già. Ma non è così, ve lo assicuro. E una spiegazione non ce l’ho. A un certo punto, semplicemente, spegniamo la luce. Di sicuro so che non abbiamo paura di vincere; quello che ci vuole è portare a casa, il prima possibile, una partita con caratteristiche simili a quelle che finora abbiamo perso».
Troppe nello stesso modo, vero?
«Assolutamente. Partite così se ne perdono, al massimo, una o due all’anno, noi siamo a quota tre in sette partite, è ora di finirla».
In alcune occasioni, la luce si è spenta quando lei è stato sostituito. Nonostante si veda più ordine con lei in campo…
«Questo perché, come diceva un mio vecchio allenatore, con quattro grandi talenti sul parquet occorre un giocatore scarso, che non fa danni, per impedire che ne facciano gli altri (…ride, ndr). Scherzi a parte, non penso che le cose con me in campo sarebbero cambiate».
Non teme che, con Slanina in recupero e Smith più integrato nei meccanismi di squadra, il suo minutaggio calerà drasticamente?
«Stiamo parlando di signori giocatori, che aumentano parecchio il tasso tecnico della squadra. Per il mio futuro e la mia crescita è importante innanzitutto essere parte di un gruppo vincente, e Reggio ha tutto per esserlo. In quest’ottica se anche il mio tempo in campo cala un po’, per me non è un problema».
Quali le differenze ha notato con l’arrivo di Finelli, rispetto alle idee di Coen?
«L’obiettivo prioritario del nuovo coach è di darci pochi, ma chiari, dettami, farci diventare più squadra. Piero, persona di eccezionale valore, puntava molto su motivazione ed energia, in gruppo che è, comunque, difficile da allenare».
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