Reggio Emilia è stata premiata dal Consiglio d'Europa come esempio pratico di come le città europee possono affrontare positivamente la sfida rappresentata dall'integrazione degli immigrati


SARÀ stato certamente contento il sindaco Graziano Delrio, persona perbene e di buona volontà, nell'apprendere che Reggio Emilia è stata premiata dal Consiglio d'Europa come esempio pratico di come le città europee possono affrontare positivamente la sfida rappresentata dall'integrazione degli immigrati. Reggio Emilia è la città italiana che ha la più alta percentuale di residenti stranieri di tutt'Italia.
A premiare Reggio Emilia sono stati nove saggi che hanno redatto per il Consiglio d'Europa il rapporto “Vivere insieme. Combinare diversità e libertà nell'Europa del 21esimo secolo”. A loro avviso il modello interculturale di Reggio Emilia dovrebbe essere additato a modello per l'Europa: “Gli amministratori locali hanno una grande responsabilità nel favorire determinati processi che permettono alle persone di vivere insieme senza conflitti'”, si legge nel rapporto, “Reggio Emilia ha sviluppato in questi ultimi anni una serie di politiche specifiche per evitare l'esclusione sociale e dare a tutti accesso ai beni e servizi offerti dalla città.

I N particolare è stata elaborata una politica scolastica per incoraggiare un approccio positivo alla diversità a cui si affianca l'iniziativa di corsi di italiano per le madri straniere i cui bambini frequentano le scuole elementari, in modo che possano comunicare più facilmente con il corpo docente. La città ha inoltre introdotto dei mediatori culturali nei sei ospedali cittadini e ha lanciato un progetto per migliorare le relazioni linguistiche e culturali tra i cittadini stranieri e il personale medico”.
Ma è veramente così? I cittadini di Reggio Emilia si considerano privilegiati per il modello di convivenza che si è affermato negli ultimi decenni con delle amministrazioni comuniste doc e successivamente catto-comuniste? Possiamo veramente considerare che il sistema di convivenza presente a Reggio Emilia sia il modello di esportare e da applicare in tutt'Italia e addirittura in tutt'Europa? Personalmente ho fin troppi dubbi. So bene che a Reggio Emilia, sul tema specifico dell'immigrazione e dell'integrazione, non è oro ciò che luccica.
Mi sono occupato della realtà di Reggio Emilia sin dagli anni Novanta e mi ricordo bene la preoccupazione degli stessi musulmani per l'infiltrazione del radicalismo islamico nelle moschee cittadine. Cito una testimonianza di una madre musulmana da me raccolta nel settembre del 2005 quando da giornalista ero vice-direttore del Corriere della Sera: «Inizialmente portavo i miei figli nella moschea di via Adua perché volevo che conoscessero la loro religione. Ma poi ho deciso di non farlo più perché i predicatori della moschea incitavano a non aver nulla a che fare con gli italiani e con i cristiani. Io invece i miei figli li ho mandati nelle scuole pubbliche e nel pomeriggio hanno frequentato l' oratorio della chiesa. A me quella gente che predica nelle moschee fa paura».
Nel 2006 ho denunciato sempre sul Corriere della Sera come proprio nell'area rossa e ricca dell'Emilia, tra Reggio, Sassuolo, Modena e Carpi, si è radicato il potere e s'intensifica l'attività dei gruppi estremisti islamici del Minhaj-Ul Quran, che dispongono di 17 moschee e madrasa (scuole coraniche) in Italia e sono ostili all'emancipazione della donna; dei Tabligh che predicano il califfato islamico e nell'aprile dello stesso anno radunarono allo stadio di Bologna circa 8 mila adepti provenienti da tutt' Europa; così come a Carpi furono arrestati 5 dei 7 narcotrafficanti pachistani coinvolti nell' operazione «Khiber pass», individuando una «filiera bancaria islamica» con una ramificazione internazionale, in grado di gestire dai 2 ai 4 milioni di dollari al giorno.
Nel 2007 la scoperta di una cellula del terrorismo islamico pan-europeo, dedita al reclutamento di aspiranti kamikaze da inviare a farsi esplodere sui campi della jihad, la guerra santa islamica, in Iraq e Afghanistan, evidenziò come la ventina di militanti islamici arrestati si nascondevano in due appartamenti a Reggio Emilia e a Cologno Monzese.
La cellula aveva ramificazioni in Francia, Gran Bretagna, Belgio e Svizzera.
Così come a Reggio Emilia ho raccolto decine di testimonianze di cittadini scontenti per la rapida formazione di micro-ghetti laddove gli immigrati riescono a conquistare il controllo di palazzine determinando la fuga degli autoctoni per il venir meno delle condizioni della civile convivenza. E come questo fenomeno degenerativo di spogliazione del territorio investa lo stesso centro storico che registra una crescita della presenza di stranieri snaturandone l'identità così come purtroppo ormai avviene in gran parte delle città del nostro Belpaese dove gli italiani preferiscono rifugiarsi nelle periferie con il risultato che perdiamo i luoghi che incarnano la memoria storica di chi siamo e la nostra vera anima.
Certamente Reggio Emilia è una città dove per tanti versi si vive ancora bene. Ma il discorso relativo all'integrazione degli immigrati è quantomeno problematico. Innanzitutto perché a livello nazionale, quindi ad un ambito che trascende le prerogative di un sindaco e di un'amministrazione locale, non esiste una strategia d'integrazione “vincolante”. Significa ad esempio che siamo noi italiani a doverci impegnare a capire che cosa dicono gli stranieri investendo nella presenza dei mediatori linguistici nelle scuole, negli ospedali e negli uffici pubblici, anziché esigere che siano gli stranieri a imparare la lingua italiana.
Ciò avviene perché ad oggi siamo succubi dell'ideologia del buonismo che ci porta a limitarci ad assecondare ciò che il prossimo esige senza curarci delle conseguenze sul nostro vissuto.
Sarebbe ora che all'ideologia del buonismo sostituissimo l'etica del bene comune che si fonda sull'equilibrio tra i diritti e i doveri, dove a fronte del diritto che si acquisisce a vivere in Italia per migliorare le proprie condizioni di vita si assume il dovere di integrarsi, apprendendo obbligatoriamente la lingua italiana e conoscendo la nostra cultura.
A tutt'ora in Italia l'integrazione è facoltativa mentre sarebbe ora che comprendessimo che l'integrazione deve essere vincolante.
Ebbene saprà il sindaco Delrio promuovere in Italia il passaggio storico dall'ideologia del buonismo all'etica del bene comune, affinché il nostro rapporto con gli immigrati cessi di essere una graduale perdita della nostra civiltà e ci consenta di riscattarci riscoprendo la certezza e l'orgoglio delle nostre radici, dei nostri valori non negoziabili e della nostra identità? Noi ce lo auguriamo.
di Magdi Allam - ilgiornaledireggio

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