Alessandro Frosini, un Campione di umiltà
Mancano poco più di 24 ore e poi Alessandro Frosini appenderà definitivamente le scarpe al famigerato chiodo. Una partita d'addio al basket giocato che sarà anche l'occasione per presentare la nuova Trenkwalder, di cui il grande "Ale" da qualche mese è direttore sportivo. Di fronte (palla a due alle 20.30) i biancorossi avranno la Virtus Bologna degli ex reggiani McIntyre e Gigli; quella società che ha reso mito un uomo che viene dalla provincia, ma che proprio grazie a radici umili e solide è diventato un campione. Anzi, un Campione.
Oggi, nel giorno di presentazione dell'evento, ne abbiamo approfittato per fare quattro chiacchiere con lui, per cercare di tradurre in parole una carriera che dovrebbe essere presa a esempio da chi vuole fare di questo sport la propria professione. "Quella di domani - ha esordito Frosini - vuole essere una cosa molto semplice, perché è così che ho sempre vissuto la mia carriera. Sono stato quello che in gergo calcistico si può definire un 'mediano' che si vede poco, assurto agli onori delle cronache ma sempre di luce riflessa poiché ho avuto la fortuna di giocare al fianco di fenomeni veri. E così come è stata la mia carriera, volevo fosse il mio addio al basket". Frosini, domani, giocherà solo con la Trenkwalder perché questa, è bene ricordarlo, non sarà un'esibizione come i precedenti adii (Morse nel 1987 e Mitchell nel 2000) ma una gara vera e propria in cui i due coach manderanno in campo le squadre al completo. "Titolare? Vedremo con Max (Menetti, ndr)... Ma non penso di poter reggere a lungo (ride)".
Ci sarà qualche ospite alla serata?
Avevo pensato a Manu (Ginobili, ndr), una persona con cui mi sono sempre trovato benissimo sia dentro che fuori dal campo. Purtroppo, non potrà venire causa impegni cestistici. Lo stesso per Sconocchini e Rigaudeau, gli altri ragazzi con cui ho legato di più ai tempi di Bologna. Ma l'importante è che ci sarà la mia famiglia, mia moglie e i miei figli oltre al mio primo allenatore, Marco Gollini, quello che ha iniziato a credere in me e nelle mie potenzialità.
Riavvolgiamo il nastro: quando i primi tiri a canestro?
Avrò avuto 8 anni. Per 4-5 mesi ho fatto il minibasket nella Mens Sana Siena. Tuttavia, abitavamo a 30 km da Siena, nelle campagne del Chianti. Per mio padre era quindi un problema fare sempre avanti e indietro. Così, decise di costruirmi un canestro dietro casa e io per 2-3 continuai a tirare lì. Poi, una volta trasferitici più vicino a Siena, tornai a giocare. Avrò avuto 12-13 anni: ero un lungagnone sgraziato e il divario dagli altri era enorme. Però, vedevo che allenamento dopo allenamento la distanza si assottigliava sempre più, fino a quando non mi sono ritrovato nella giovanili della Nazionale. All'epoca c'erano i vari Fucka, Abbio, De Pol, Myers, Ferretti eccetera: su 12 giocatori, 10 diventavano professionisti.
L'esordio in prima squadra, a Siena, è avvenuto nella stagione '89-'90: giocavo con Brumatti, Pastori e avevo 'Dado' (Lombardi, ndr) in panchina: come vedete, era proprio destino che venissi a Reggio (ride)! Lì ho imparato a vincere, perché al primo anno arrivò subito lo scudetto.
Qual è stato il momento più alto della carriera?
Quando, con la Virtus, abbiamo vinto la seconda Eurolega contro il Tau: furono cinque gare tiratissime e alla fine, dopo un anno per noi meraviglioso, ci siamo guardati tutti negli occhi pensando di aver compiuto davvero qualcosa di irripetibile. Ne approfitto per ricordare che, a cavallo di quella stagione, persi mio padre e, sono sicuro, dall'alto lui mi ha guidato per giungere a quei traguardi.
C'è, nella carriera di Frosini, la parola 'rimpianto'?
Eccome se c'è. La Nazionale è stata il mio Rimpianto soprattutto perché non ho mai potuto giocare le Olimpiadi, l'unica manifestazione a cui non ho preso parte nella mia carriera. E la colpa, lo ammetto, è principalmente mia. Facevo parte del gruppo che poi ha vinto gli Europei nel 1999 con Bosha Tanjevic in panchina. Allora mi vedevo poco considerato, quasi emarginato e ho deciso di lasciare il gruppo a metà della preparazione. Mi ha ferito il fatto che nessuno mai ha provato a farmi tornare sui miei passi. Ci sono rimasto così male che, quando è arrivato Recalcati e mi ha chiamato, ho rifiutato. Sono convinto, comunque, che se avessi avuto la testa di adesso le cose sarebbero andate diversamente. Sono errori da giovane...
E la parola 'dubbio'?
Quando sono sceso in Legadue firmando con Caserta. Ho anche pensato 'ma chi me lo fa fare, qui se non vinciamo il campionato è la fine...'. E invece... dopo 14 anni abbiamo riportato la Pepsi in serie A: è stato bellissimo, perché la gente là vive di basket. Molto faticoso, ma bellissimo.
Qual è stato l'allenatore più importante?
Di primo acchito direi Messina, perché tra Virtus e Nazionale mi ha allenato più di tutti. Lo devo ringraziare perché mi ha fatto arrivare a livelli di conoscenza del gioco impensabili a inizio carriera. Devo tanto anche a Marcelletti, che quando ero a Verona è stato il primo a gettarmi nella mischia dopo due anni passati più a vedere gli altri giocare.
Quale il giocatore più forte con cui ha giocato e quale l'avversario più duro?
Alla prima domanda rispondo che è una bella gara tra Ginobili e Danilovic: due giocatori molto diversi, ma due incredibili campioni. Poi, come non ricordare la classe di Rigaudeau... Gli avversari più ostici senza dubbio Scola e Oberto: li ho marcati quando giocavano entrambi nel Tau e devo dire che mi hanno fatto vedere i sorci verdi. Capacità di gioco spalle a canestro quasi perfetta, in più hanno una visione sugli scarichi ottima. Insomma, non si riusciva a marcarli. E io che mi sono sempre reputato un buon difensore...
In Italia c'è un nuovo Frosini?
In Italia mancano i giovani e, purtroppo, ce ne siamo accorti agli Europei in Lituania. Magari puoi trovare ragazzi con una buona tecnica, ma se non si coltiva l'aspetto mentale, che per me vale il 70-80% nello sport, non si va da nessuna parte. Mi piacerebbe, in questi anni, poter vedere sbocciare un bel talento qui a Reggio. A questo pro dico che Cervi è sulla buona strada: magari adesso avrà ancora più peso sulle spalle, ma io in lui ho visto qualcosa di veramente buono e, se lui vorrà, sarò bel lieto di dargli tutta la mia esperienza per farlo crescere.
C'è stato un momento difficile nella sua carriera?Quando sono passato dalla Fortitudo alla Virtus: per un anno e mezzo è stata durissima perché da una parte mi davano del traditore e mi insultavano per strada, dall'altra invece mi davano del fortitudino. Mi hanno anche fatto passare per una persona che vede solo il denaro, ma in realtà alla Fortitudo non mi avevano voluto rinnovare il contratto e così ero a piedi. Appena l'ha saputo, Messina mi ha fatto un'offerta e io sono andato alla Virtus. Alla fine ho vinto tutto, ma se non fossi entrato nelle grazie di Sasha (Danilovic, ndr) sin dall'inizio sarebbe stata dura (ride)...
Scaramanzie e aneddoti?
Dalla vittoria della seconda Eurolega fino all'ultima partita della passata stagione con Veroli ho indossato sempre la stessa sottocanotta nera: la si può vedere in ogni foto dove alzo un trofeo o dove festeggio con i compagni a fine partita... E' una cosa che fa ridere, lo so, ma pensavo di indossarla pure domani...
Aneddoti? Ce n'è uno bellissimo su Esposito (Vincenzo, ndr) di quando giocava con me nella Fortitudo. Era un periodo nel quale c'erano diverbi tra lui e il coach Scariolo. In un allenamento ha iniziato a tirare solo da tre e solo a tabella. Il problema è che li metteva tutti lo stesso... Dopo il quarto-quinto tiro Scariolo perde la pazienza e gli dice: 'Basta, Vincenzo! Se tiri ancora una volta a tabella ti faccio la multa!'. Risposta: 'Sì, o' viggile urbano'... Il seguito non si può raccontare!".
Se non ci fosse stato il basket cosa avrebbe fatto Frosini?
Onestamente non lo so proprio. Mio padre mi prendeva sempre in giro, perché non mi andava di andare a scuola... Mi diceva: 'Dimmelo subito, ti compro 200 pecore e vai a fare il pastore. Tanto lo spazio qui non ti manca di certo!'.
Alessio Fontanesi - reggionline
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